Esplora contenuti correlati

Repertorio atto n. 146/CU

Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano e gli Enti locali di modifica dell’Intesa n. 146/CU del 27 novembre 2014, relativa ai requisiti minimi dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio.

Rep. Atti n. 146/CU del 14 settembre 2022:

LA CONFERENZA UNIFICATA

 

Nell’odierna seduta del 14 settembre 2022:

VISTO l’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, il quale prevede che, in sede di Conferenza Unificata, il Governo può promuovere la stipula di intese dirette a favorire il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni;

VISTA l’Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo e le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e le Autonomie locali, relativa ai requisiti minimi dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio, prevista dall’articolo 3, comma 4, del D.P.C.M. del 24 luglio 2014, sancita da questa Conferenza nella seduta del 27 novembre 2014 (Atto rep. n. 146/CU);

VISTA la nota del 2 settembre 2022, con la quale il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha trasmesso, ai fini del perfezionamento dell'intesa da parte di questa Conferenza, la bozza di modifica dell’Intesa n. 146/CU del 27 novembre 2014, relativa ai requisiti minimi dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio, che è stata diramata il 7 settembre 2022 (prot. n. DAR 14209);

VISTE le note del 12 settembre 2022 con le quali rispettivamente il Coordinamento della Commissione politiche sociali delle Regioni e l’ANCI hanno comunicato l’assenso tecnico sull’Intesa;

VISTA la nota del 14 settembre 2022, diramata in pari data (prot. n. DAR 14780), con la quale il Dipartimento per le pari opportunità, ha trasmesso un nuovo testo del provvedimento in quanto nella precedente versione erano presenti dei refusi;

CONSIDERATI gli esiti dell’odierna seduta di questa Conferenza, nel corso della quale:

 -  le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano hanno espresso avviso favorevole al perfezionamento dell'intesa;

-   l’ANCI, ringraziando del lavoro di confronto svolto in modo particolare con il Dipartimento delle Pari Opportunità, che ha portato a delle modifiche al testo che vanno incontro alle richieste e istanze dei Comuni, ha espresso avviso favorevole con la raccomandazione, che siano trasmesse celermente  le risorse assegnate ai Centri Antiviolenza e alle Case Rifugio, sia pubbliche gestite dagli Enti locali che del privato sociale, anche alla luce dei rilievi della Corti dei Conti e che tali provvedimenti di riparto possano essere adottati in futuro in Conferenza Unificata, considerando anche il preminente interesse delle autonomie su tali servizi;

-   l’UPI ha espresso avviso favorevole unendosi a quanto detto dall’ANCI;

ACQUISITO quindi l'assenso del Governo, delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e degli Enti locali;

SANCISCE INTESA

ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano e gli Enti locali nei seguenti termini:

Considerati:

  • la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica adottata a Istanbul l'11 maggio 2011;
  • la legge 27 giugno 2013, n. 77, con la quale l'Italia ha ratificato la suddetta Convenzione;
  • il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province»;
  • l'art. 5 del citato decreto-legge che prevede l'adozione di un «Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» nonché al comma 2, lett. d) stabilisce di «potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza»;
  • l'art. 5-bis del suddetto decreto-legge n. 93 del 2013 recante «Azioni per i centri antiviolenza e le case rifugio»;
  • il Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2021-2023), presentato in Consiglio dei ministri il 18 novembre 2021, previo parere espresso dalla Conferenza Unificata in data 3 novembre 2021;

Ritenuta la necessità di rivedere la precitata Intesa del 27 novembre 2014 sui requisiti minimi dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio;

SI CONVIENE

Art. 1

Definizione

  1. I Centri antiviolenza, di seguito denominati “CAV”, erogano servizi di prevenzione e accoglienza, a titolo gratuito, nel rispetto della riservatezza e dell’anonimato, a tutte le donne vittime di violenza maschile o che si trovino esposte a tale rischio, congiuntamente alle/i loro figlie/i minori, indipendentemente dal luogo di residenza.

I CAV hanno lo scopo di garantire protezione e supporto adeguati alle donne vittime di violenza maschile, come da disposizioni del decreto-legge 14 agosto 2013 n. 93, convertito con modificazioni nella legge 15 ottobre 2013 n. 119, e della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). I CAV intervengono altresì sulle dinamiche strutturali da cui origina la violenza maschile, violenza che provoca o è suscettibile di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica.

  1. I CAV sostengono percorsi personalizzati di fuoriuscita dalla violenza, utilizzando la metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, senza praticare discriminazioni di età, etnia, provenienza, cittadinanza, religione, classe sociale, livello di istruzione, livello di reddito, abilità, o altre discriminazioni; intervengono sulla prevenzione sensibilizzando il territorio; contribuiscono alla formazione rivolta ad operatrici/ori dei servizi generali e partecipano alla strutturazione e/o al potenziamento delle reti territoriali antiviolenza.
  2. I CAV sono gestiti, nel rispetto di tutti i requisiti previsti dalla presente intesa, da:
  3. associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza, che abbiano maturato esperienze e competenze professionali specifiche in materia di violenza contro le donne che utilizzino una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato;
  4. enti pubblici ed enti locali, in forma singola o associata, avvalendosi esclusivamente delle professionalità di cui all’art. 3;
  5. soggetti di cui alle lettere a) e b), di concerto, d’intesa, in forma consorziata o in convenzione tra loro.

4 Le Regioni e gli Enti Locali, in forma singola o associata, possono finanziare con risorse proprie, CAV (o sportelli a questi collegati) gestiti da associazioni/organizzazioni di cui al comma 3 lett. a. del presente articolo e in possesso di tutti i requisiti previsti dalla presente Intesa, anche attraverso convenzionamento diretto.

5 Nei limiti di quanto indicato al comma 4, è esclusa la possibilità di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 89 del decreto legislativo 16 aprile 2016, n. 50 e/o ad altre forme di “cessione” dei requisiti previsti.

  1. Le Amministrazioni pubbliche favoriscono il ricorso agli istituti previsti dall’art. 55 del Codice del Terzo settore quale la co-progettazione, la co-programmazione ed il partenariato con i soggetti di cui al comma 3, lettera a) anche al fine di valorizzare il modello di amministrazione condivisa, espressione di un rapporto di sussidiarietà orizzontale tra pubblico ed il privato sociale.
  2. Le Associazioni e le organizzazioni di cui al comma 3 del presente articolo, laddove previsto, devono:
  3. essere registrate nell’apposito RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) quale registro telematico istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
  4. avere nel loro Statuto da almeno cinque anni gli scopi del contrasto alla violenza maschile e di genere, del sostegno, della protezione e del supporto delle donne che hanno subito o subiscono violenza e dei/delle loro figli/e e dell’empowerment;
  5. perseguire statutariamente, in modo esclusivo o prevalente, le attività di prevenzione e contrasto alla violenza maschile, valutate anche in relazione alla consistenza percentuale delle risorse destinate in bilancio;
  6. possedere una consolidata e comprovata esperienza quinquennale consecutiva in attività contro la violenza maschile sulle donne.

Art. 2

(Requisiti strutturali e organizzativi)

  1. L’immobile destinato a sede operativa del CAV deve possedere i requisiti previsti dalla normativa vigente nonché gli altri requisiti previsti dalle normative regionali in materia di autorizzazione e/o accreditamento e deve essere organizzato in locali idonei a garantire le diverse attività nel rispetto della privacy. Il CAV può articolarsi, in aggiunta alla sede, anche con sportelli di ascolto e informativi sul territorio, di facile accesso.
  2. Il CAV, accreditato secondo appositi Registri/Albi regionali, deve garantire un numero di telefono dedicato, attivo tutti i giorni, compresi i festivi, 24h su 24 e collegato al 1522 nonché ai servizi essenziali della rete (PS, FFOO). Ai fini dell’inserimento dei CAV nella mappatura nazionale tenuta dal Dipartimento per le pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, le Regioni aggiornano e rendono pubblici i registri/albi con cadenza almeno semestrale.
  3. Il CAV deve essere accessibile in presenza, almeno 5 giorni alla settimana e in modalità ibride (al telefono o online) tutti i giorni, ivi compresi i giorni festivi.
  4. Il CAV deve possedere la Carta dei servizi esplicitando gli orari e i giorni di erogazione dei servizi nonché di apertura dei locali dedicati all’accoglienza gratuita alle donne.
  5. Al CAV è fatto esplicito divieto di applicare le tecniche di mediazione familiare e/o conciliazione, ivi compreso l’invio ad altri servizi che le applicano, nel rispetto dell’art. 48 della Convenzione di Istanbul.
  6. Non è consentito in alcun caso l’accesso ai locali del Centro agli autori della violenza e/o maltrattamenti.

Art. 3

(Operatrici)

  1. Per le attività a diretto contatto con le donne vittima di violenza, il CAV, anche se gestito dall’Ente locale in forma singola o associata si avvale esclusivamente di personale femminile che: utilizza una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne non giudicante; che interviene nel rispetto del quadro di riferimento dei diritti umani e delle pari opportunità che fa capo alle leggi italiane e alla convenzione CEDAW, in particolare alla Raccomandazione n. 35, e alle disposizioni della Convenzione di Istanbul. Le operatrici, incluse le volontarie, devono essere adeguatamente formate, seguendo un approccio di genere: sul tema della violenza maschile; sulle sue cause strutturali e conseguenze; sulla valutazione del rischio; sui bisogni specifici di donne esposte a molteplici vulnerabilità, sui principi della Convenzione di Istanbul; sull’operatività del lavoro di rete, anche in tema di autonomia economica, lavorativa e abitativa. La formazione si ritiene adeguata quando consiste in almeno 120 ore di formazione iniziale (di cui almeno 60 di affiancamento). Le operatrici devono effettuare inoltre almeno 16 ore annue di aggiornamento
  2. Il CAV deve assicurare un’adeguata presenza di operatrici di accoglienza e di figure professionali, quali ad esempio psicologhe, assistenti sociali, educatrici, mediatrici culturali ed avvocate civiliste e penaliste, esperte in diritto del lavoro e immigrazione, con una formazione specifica sul tema della violenza di genere, dell’elaborazione del vissuto violento, del trauma sui/sulle minori ed iscritte all’albo del gratuito patrocinio.
  3. Le operatrici di accoglienza e le figure professionali devono essere in grado di operare, secondo la metodologia della relazione tra donne come pratica centrale fondata sulla lettura della violenza di genere come fenomeno politico e sociale complessivo strutturale ed essere in possesso di competenze adeguate all’ascolto, alla valutazione del rischio, all’accompagnamento nei percorsi di uscita dalla violenza e/o quanto altro necessario per le attività del Centro (empowerment, formazione, prevenzione sensibilizzazione, lavoro di rete).
  4. Il CAV deve garantire la formazione iniziale e continua per le operatrici e per le figure professionali ivi operanti, nonché l’attività di supervisione. Le conoscenze e le competenze del personale e la fornitura delle prestazioni devono essere specializzate.
  5. Non possono operare nel CAV le avvocate e le psicologhe che, nella loro libera attività professionale, svolgono ruoli a difesa degli uomini accusati o condannati per violenza e/o maltrattamenti.

Art. 4

(Servizi minimi garantiti)

  1. Il CAV deve garantire, a titolo gratuito, almeno i seguenti servizi:
  2. Ascolto: colloqui telefonici, online e/o incontri in presenza;
  3. Informazione: dopo un primo ascolto è importante dare le prime informazioni utili alla donna rispetto al percorso che può co-costruire con il Centro e ai suoi diritti rispetto alla legge vigente;
  4. Orientamento sociale: sostegno, accoglienza e accompagnamento alle donne in situazioni di violenza attraverso colloqui strutturati volti a co-costruire un percorso personalizzato di fuoriuscita dalla violenza;
  5. Supporto psicologico: sostegno nell’elaborazione del vissuto violento attraverso percorsi individuali e/o tramite gruppi di auto mutuo aiuto, anche utilizzando le strutture ospedaliere, i presidi sanitari di base ed i servizi territoriali aventi personale adeguatamente formato;
  6. Supporto legale: colloqui di informazione e di orientamento di carattere legale sia in ambito civile che penale, di immigrazione e lavoro, e informazione e aiuto per l’accesso al gratuito patrocinio, in tutte le fasi dei procedimenti;
  7. Raccordo con le case rifugio anche ai fini dell’inserimento.
  1. Il CAV, previo consenso della donna, si raccorda:
  2. con i servizi territoriali competenti per la tutela dei minori e per il sostegno alla genitorialità;
  3. con i servizi sociali e con i centri per l’impiego per individuare percorsi di inclusione lavorativa e per favorire l’autonomia economica e l’orientamento al lavoro;
  4. con gli enti locali e le agenzie per la casa, attraverso convenzioni e protocolli, per l’orientamento all’autonomia abitativa.

Art. 5

(Percorso di accompagnamento)

  1. Il CAV assicura, ad ogni donna, un percorso personalizzato di protezione e sostegno, strutturato e definito con lei nel rispetto dei suoi tempi e della sua autodeterminazione.
  2. Il CAV si avvale della collaborazione della rete dei servizi pubblici e privati presenti nel territorio per favorire un approccio integrato atto a garantire il riconoscimento della violenza subita nelle sue diverse dimensioni sotto il profilo relazionale, fisico, psicologico, sessuale, sociale, culturale ed economico.
  3. Il CAV utilizza gli strumenti disponibili a livello nazionale per la valutazione del rischio.

Art. 6

(Lavoro in rete)

  1. Al fine di garantire alle donne e ai loro figli protezione sociale, reinserimento e interventi sanitari, il CAV partecipa alle reti territoriali interistituzionali. L’istituzione e il funzionamento della rete sono regolati da appositi protocolli o accordi con il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali, sociali ed economici del territorio di riferimento coincidente con il territorio indicato nella pianificazione regionale.
  2. Il CAV in qualità di soggetto essenziale per il funzionamento delle reti territoriali interistituzionali antiviolenza:
  3. Partecipa alle reti territoriali antiviolenza e laddove non già esistenti contribuisce a promuoverne la creazione al fine di garantire alle donne in situazioni di violenza e alle/i loro figlie/i un’adeguata informazione, protezione e assistenza, e il raggiungimento dell’autonomia economica, lavorativa e abitativa;
  4. Promuove azioni di sensibilizzazione e conoscenza sul tema della violenza maschile contro le donne, a livello territoriale, inclusi i percorsi nelle scuole;
  5. Contribuisce alla formazione di operatrici/ori dei servizi che a vario titolo entrano in contatto con le donne in situazioni di violenza, anche al fine di evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria.
  6. L’individuazione del CAV o dei CAV di riferimento della rete territoriale tiene conto del radicamento e dell’esperienza maturata a livello territoriale. Non possono far parte della rete i CAV non in possesso di tutti i requisiti previsti dalla presente Intesa e non riconosciuti dalle Regioni, anche attraverso appositi albi ed elenchi regionali e/o procedure di accreditamento regionale.
  7. Il CAV assicura collegamenti diretti con le Case rifugio e gli altri CAV esistenti sul territorio e con gli altri nodi della rete locale.

Art. 7

(Flusso informativo)

  1. I CAV svolgono attività di raccolta dati nel rispetto della riservatezza e dell’anonimato delle donne e partecipano all’attività di raccolta di informazioni, ricerca e analisi, su base territoriale, regionale o provinciale se prevista, al fine di contribuire all’alimentazione di un sistema di monitoraggio e osservazione sul fenomeno della violenza contro le donne nelle sue varie forme, anche sulla base delle disposizioni e indicazioni di rilevazione proposte dal Dipartimento per le Pari Opportunità, dall’ISTAT e dalle Regioni.

 

Art. 8

(Definizione)

  1. Le Case Rifugio, di seguito denominate “Casa” o “Case”, sono strutture dedicate a indirizzo riservato o segreto, che ospitano a titolo gratuito le donne e le/i loro figlie/i minori che si trovano in situazioni di violenza e che necessitano di allontanarsi per questioni di sicurezza dalla loro abitazione usuale, garantendo loro protezione indipendentemente dal luogo di residenza e dalla cittadinanza, o dal fatto di avere o meno denunciato i maltrattamenti alle autorità preposte. Le case rifugio sono strutture dedicate a bassa intensità assistenziale soggette ad autorizzazione al funzionamento secondo le procedure previste dalle normative regionali e possono essere di tre tipologie, in relazione al livello di rischio ed alla fase del percorso di fuoriuscita:

- per la pronta emergenza, in collaborazione con il CAV di riferimento territoriale;

- per la protezione delle donne ed eventuali loro figli e figlie laddove ricorrano motivi di sicurezza (protezione di primo livello), in collaborazione con il CAV di riferimento territoriale;

- per l’accompagnamento verso la semiautonomia (protezione di secondo livello) in collaborazione con il CAV di riferimento territoriale.

  1. Le Case rifugio, nel rispetto di tutti i requisiti previsti dalla presente intesa, sono gestite da:
  2. associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza, che abbiano maturato esperienze e competenze professionali specifiche in materia di violenza contro le donne, che utilizzino una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato;
  3. enti pubblici ed enti locali, in forma singola o associata, avvalendosi delle professionalità di cui all’art. 10;
  4. soggetti di cui alle lettere a) e b), di concerto, d’intesa, in forma consorziata o in convenzione tra loro.
  5. Le Regioni e gli Enti Locali, in forma singola o associata, possono contribuire a finanziare, con risorse proprie, le Case gestite da associazioni/organizzazioni di cui al comma 2 del presente articolo e in possesso di tutti i requisiti previsti dalla presente Intesa.
  6. Nei limiti di quanto indicato al comma 3, è esclusa la possibilità di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 89 del decreto legislativo 16 aprile 2016, n. 50 e/o ad altre forme di “cessione” dei requisiti previsti.
  7. Le Amministrazioni pubbliche favoriscono il ricorso agli istituti previsti dall’art. 55 del Codice del Terzo settore quale la co-progettazione, la co-programmazione ed il partenariato con i soggetti di cui al comma 3, lettera a) anche al fine al fine di promuovere il radicamento delle Case Rifugio sui territori e valorizzare il modello di amministrazione condivisa, espressione di un rapporto di sussidiarietà orizzontale tra pubblico e privato sociale.
  8. Le Associazioni e le organizzazioni di cui al comma 2 lett. a. del presente articolo, laddove previsto, devono:
  9. essere registrate nell’apposito RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) quale registro telematico istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
  10. avere nel loro Statuto da almeno cinque anni gli scopi del contrasto alla violenza maschile e di genere, del sostegno, della protezione e del supporto delle donne che hanno subito o subiscono violenza e dei/delle loro figli/e e dell’empowerment;
  11. perseguire statutariamente, in modo esclusivo o prevalente, le attività di prevenzione e contrasto alla violenza maschile, valutate anche in relazione alla consistenza percentuale delle risorse destinate in bilancio;
  12. possedere una consolidata e comprovata esperienza quinquennale consecutiva in attività contro la violenza maschile sulle donne.

Art. 9

(Requisiti strutturali e organizzativi)

  1. La Casa è articolata in locali, in possesso di agibilità, idonei a garantire dignitosamente i servizi di accoglienza e ospitalità alloggiativa alle donne che subiscono violenza e alle/i loro figlie/i minorenni.
  2. La Casa deve garantire il diritto all’anonimato e alla riservatezza alle donne e agli eventuali figli e figlie minori ospiti.
  3. La Casa deve assicurare alloggio e beni primari per la vita quotidiana alle donne in situazioni di violenza e alle/i loro figlie/i minori, in relazione al percorso della donna ed al progetto personalizzato predisposto.

4.La Casa si raccorda con i CAV presenti sul territorio ed i servizi territoriali al fine di garantire alle donne in situazioni di violenza supporto sanitario, psicologico, legale e sociale, l’inclusione abitativa nonché il supporto ai bisogni educativi e di socializzazione per le/i loro figlie/i minori.

  1. L’ospitalità può essere d’emergenza o di medio-lungo periodo. In particolare, la permanenza nelle case per la protezione di primo livello non può superare i 180 giorni, salvo comprovate e motivate esigenze – valutate dal personale della Casa Rifugio ospitante – decorsi i quali la donna può essere collocata, d’intesa con i CAV ed i servizi sociali territoriali che hanno in carico la donna stessa, o presso case per la semiautonomia (protezione di secondo livello), sempre per un massimo di 180 giorni, ovvero presso altre soluzioni abitative che garantiscano la piena autonomia.
  2. Al fine dell’inserimento delle Case nella mappatura nazionale tenuta dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, le Regioni aggiornano e rendono pubblici gli elenchi con cadenza almeno semestrale.

Art. 10

(Operatrici)

  1. La Casa, anche se gestita da Enti locali in forma singola o associata, deve avvalersi di personale qualificato, esclusivamente femminile, adeguatamente formato e specializzato sul tema della violenza di genere indipendentemente dal profilo professionale posseduto. Le operatrici devono essere in grado di operare secondo la metodologia della relazione tra donne, intesa come pratica fondata sulla lettura strutturale della violenza maschile ed essere in possesso di competenze adeguate all’ascolto, alla valutazione del rischio, all’accompagnamento nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza delle donne e delle/dei loro figlie/i e/o quanto altro necessario per le attività della Casa.
  2. Alle operatrici della Casa è fatto esplicito divieto di applicare le tecniche di mediazione familiare e/o conciliazione.
  3. La Casa deve garantire al personale impiegato, incluso il personale volontario, una formazione permanente e strutturata al fine di rendere ogni operatrice e figura professionale in grado di accogliere, assistere e supportare le donne ospiti e di garantire la loro sicurezza durante tutto il percorso personalizzato di fuoriuscita dalla violenza, nel rispetto dei loro tempi e della loro autodeterminazione. La formazione si ritiene adeguata quando consiste in almeno 120 ore di formazione iniziale (di cui almeno 60 di affiancamento) nonché almeno 16 ore annue di aggiornamento.
  4. La Casa deve garantire l’attività di supervisione per le operatrici e per le figure professionali ivi operanti.
  5. Il personale della Casa deve intervenire nella relazione con le donne accolte nel rispetto del quadro normativo di riferimento dei diritti umani e delle pari opportunità, che fa capo alle leggi italiane ed alla Convenzione CEDAW, in particolare alla Raccomandazione n. 35 e alle disposizioni della Convenzione di Istanbul.
  6. Non possono operare nella Casa le avvocate e le psicologhe che, nella loro libera attività professionale, svolgono ruoli a difesa degli uomini accusati e/o condannati per violenza e/o maltrattamenti.

Art. 11

(Servizi minimi garantiti)

  1. La Casa garantisce gratuitamente protezione e ospitalità alle donne e alle/i loro figlie/i minori, salvaguardandone la riservatezza, l’anonimato, l’incolumità fisica e psichica, per i tempi previsti dal percorso personalizzato di uscita dalla violenza.
  2. La Casa, in collaborazione con il CAV antiviolenza e con la rete dei servizi territoriali, co-costruisce e attua nei tempi e con le modalità condivise con la donna ospitata il percorso personalizzato, provvedendo anche alla protezione e cura di eventuali minori a carico, sulla base della valutazione del rischio.
  3. La Casa partecipa alle reti territoriali antiviolenza e opera in maniera integrata con le FFOO e la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali, tenendo conto delle necessità fondamentali per la protezione delle donne e delle/i loro figlie/i, incluse quelle socio-abitative ed economiche.
  4. La Casa deve fornire nei confronti delle/dei figlie/i minori delle donne ospiti servizi di sostegno per il superamento della violenza subita o assistita, servizi educativi e di supporto scolastico, attraverso la rete territoriale in stretto raccordo con i servizi sociali degli Enti Locali.
  5. La Casa, insieme al CAV di riferimento della donna in fuoriuscita dalla violenza ed in stretta collaborazione con i servizi competenti del territorio di riferimento, deve garantire in condizione di sicurezza e protezione, gli incontri con le/i figlie/i eventualmente collocati presso altra struttura.
  6. La Casa deve possedere la Carta dei servizi.
  7. La Casa facilita il raccordo con i servizi amministrativi dell’ente locale al fine di istituire e garantire indirizzi fittizi per le donne che non devono essere rintracciate. Alle donne che chiedono protezione, in una città in cui non sono residenti e in cui decidano di fermarsi dopo l’uscita dalla Casa, deve essere garantita la possibilità di ottenere la residenza e contestualmente la possibilità della “presa in carico” da parte dei servizi sociali (es. se hanno figli minori o in situazione di indigenza).

Art. 12

(Flusso informativo)

  1. Le Case rifugio svolgono attività di raccolta dati nel rispetto della riservatezza e dell’anonimato delle donne, e partecipano all’attività di raccolta di informazioni, ricerca e analisi, su base territoriale, regionale o provinciale se prevista, al fine di contribuire all’alimentazione di un sistema di monitoraggio e osservazione sul fenomeno della violenza contro le donne nelle sue varie forme, anche sulla base delle disposizioni e indicazioni di rilevazione proposte dal Dipartimento per le Pari Opportunità e dall’ISTAT e dalle Regioni.

Art. 13

(Obblighi per i CAV e le Case Rifugio)

  1. I CAV e le Case Rifugio, qualora siano destinatari di finanziamenti pubblici, devono garantire, a pena di revoca delle risorse pubbliche assegnate, l’attività per un periodo di tempo almeno pari a quello per il quale è stato erogato il finanziamento e devono garantire l’adempimento di quanto previsto dalla vigente normativa in materia di trasparenza, pubblicando sui propri canali di comunicazione la misura dei finanziamenti ricevuti dagli Enti pubblici.
  2. I CAV e le Case Rifugio, nell’arco di tempo relativo ai finanziamenti pubblici ottenuti, contribuiscono alle attività di monitoraggio e valutazione sia quantitative che qualitative sull’uso appropriato dei finanziamenti stessi e sull’efficacia del lavoro svolto.

Art. 14

(Disposizioni finali)

  1. Le Regioni e le Province autonome trasmettono al Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri entro il 1° febbraio di ogni anno i dati aggiornati sul numero dei CAV e delle Case Rifugio operanti sul territorio in possesso dei requisiti minimi di cui alla presente Intesa. Tali dati devono essere coerenti con i dati forniti dalle stesse Regioni e Province autonome ai fini del riparto delle risorse del Fondo per le politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità di cui agli articoli 5 e 5 bis del decreto-legge 15 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni nella legge 15 ottobre 2013, n. 119.
  2. Il Governo, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e le autonomie locali, ciascuno secondo le proprie competenze, si impegnano a:
  3. predisporre adeguate coperture finanziarie e ad assegnarle con continuità e tempestività affinché i CAV e le Case Rifugio siano in condizione di operare sulla base dei requisiti previsti dalla presente Intesa;
  4. garantire il rispetto dei requisiti previsti dalla presente Intesa nei loro atti e nella ripartizione delle risorse;
  5. definire congiuntamente gli indicatori per la governance e il monitoraggio dell’attuazione della presente Intesa.

Art. 15

(Norma transitoria)

  1. Il rispetto dei requisiti previsti dalla presente Intesa costituirà condizione necessaria per l’accesso ai fondi oggetto di riparto ai sensi degli articoli 5 e 5-bis del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella legge 15 ottobre 2013, n. 119, a partire dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri riferito all’annualità 2022.
  2. I CAV e le Case presenti negli elenchi/Albi regionali alla data della presente intesa potranno avvalersi di un periodo transitorio, della durata di 18 mesi, per l’adeguamento ai requisiti della presente Intesa. Con riferimento ai requisiti strutturali richiesti per le case rifugio, il completamento delle procedure di autorizzazione al funzionamento di cui al comma 1 dell’art. 8, dovrà avvenire entro tre anni dall’adozione della presente Intesa.

Per saperne di più

Torna all'inizio del contenuto